
La Musica nella terapia del coma: la potenza dei suoni attraverso l’abisso dell’incoscienza
L’uso della musicoterapia per la cura dei pazienti nelle condizioni del coma – allo stato vegetativo o addirittura acuto – è tuttora uno dei temi scientifici meno trattati dai media italiani, evidentemente ancora incerti sul riconoscere la validità di questo farmaco alternativo e, soprattutto, dei professionisti che se ne occupano.
Spesso, infatti, l’utilizzo di un metodo sperimentale del genere è considerato con sospetto e diffidenza, tanto da isolare i percorsi di ricerca sinora realizzati al riguardo. A tal proposito risulta di particolare interesse l’unico caso di musicoterapia italiana applicata ai pazienti in coma acuto, trattati dalla pianista Francesca Romana Motzo presso il reparto di rianimazione dell’Ospedale Brotzu di Cagliari. Le sue sedute giornaliere della durata di 20-25 minuti ciascuna hanno contribuito a far emergere dall’abisso dell’incoscienza molti pazienti gravi – con trauma cranici, ipossie cerebrali o violenti ictus – stabilendo dei contatti ottenuti delicatamente attraverso le modulazioni della voce alternate al silenzio.
La musica, dunque, può essere intesa come emissione di suoni proporzionati prima di tutto ai parametri vitali dei pazienti, da cui è fondamentale non prescindere.
È poi possibile lavorare con canzoni o sonorità caratteristiche delle fasi precedenti al coma (così da rendere l’ambiente circostante più familiare), oppure servirsi di musiche registrate con caratteristiche ritmiche, armoniche e melodiche precise.
Le principali risposte del paziente dipendono strettamente da quest’ultime e possono manifestarsi all’inizio in modo minimo, attraverso i movimenti del corpo, la motilità oculare, la respirazione accelerata o rallentata – come quella che si verifica durante i motivi musicali lenti, i quali possono produrre un rilassamento e rallentare il ritmo cardiaco – le variazioni della pressione sanguigna o di quella endocrina.
Inoltre è importante verificare la durata nel tempo degli effetti indotti e osservati, nonché una maggiore vastità d’interessamento delle aree nel Sistema Nervoso Centrale così da poter valutare l’andamento della prassi musicoterapeutica adottata: è evidente che lo scopo finale sia la riduzione dei tempi di risveglio dal coma e di recupero riabilitativo.
Il principio su cui si fonda l’indagine proposta dai musicisti ai medici è semplice: essendo la musica un linguaggio preverbale, la possibilità che arrivi al di là di quanto potrebbero fare i farmaci o le parole è molto plausibile.
L’idea portante della cura consiste quindi nell’instaurare un legame all’insegna della comunicazione e del dialogo con i pazienti.
Quest’ultimo aspetto è stato avvalorato dagli esami medici sulle conseguenze positive degli stimoli sonoro-musicali nel coma vegetativo e negli stati di coscienza, ottenuti monitorando le risposte su elettroencefalogramma, respirazione e battito cardiaco. Si tratta di vere e proprie prove neuroscientifiche e cognitive al riguardo (è quindi evidente che una simile disciplina non possa prescindere dallo studio del rapporto fra i suoni e il cervello che li riceve), le quali evidenziano le conseguenze rilevanti prodotte dalla musica a cominciare dall’inibizione endogena del dolore, dovuta al rilascio di endorfine nel corpo contro la sofferenza diffusa.
Ciò che molti ignorano, infatti, è l’eventualità di uscire dolorosamente dallo stato del coma, magari aprendo gli occhi ma non riuscendo a parlare né avendo ancora riacquistato la consapevolezza di sé e del mondo esterno, così che i numerosi disagi fisici della propria condizione – febbre, infezioni, sindromi da immobilità prolungata, dolori articolari – sono spesso espressi attraverso movimenti aggressivi, apatia o mancanza di collaborazione ai fini della cura.
Partendo dal presupposto che la musica non è un miracolo, ma uno strumento fondamentale il cui utilizzo è valido quanto quello di qualsiasi altro farmaco, è auspicabile che nei particolari casi dei pazienti in crisi (che dimostrano il loro stato attraverso grida o resistenze di vario tipo nei confronti del fisioterapista e del logopedista), la musicoterapia possa essere l’unica soluzione efficace.
Considerate le ormai numerose applicazioni dell’arte musicale alla medicina – dalle cure per le disabilità fisiche e mentali ai disturbi dell’attenzione o dell’apprendimento – è certo che l’attribuzione di uno statuto alla materia musicoterapeutica e di un riconoscimento professionale agli operatori che se ne occupano sia ormai una realtà non più trascurabile da parte delle Istituzioni, le quali dovrebbero inserire nei reparti degli ospedali interessati almeno una figura rappresentativa di quest’ambito.
Giulia Dettori Monna
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