
Recuperare la vista con un piccolo chip
Ridare la vista a chi l’ha persa non è più un’utopia. È stata infatti sviluppata una retina artificiale in grado di restituire in parte la vista a milioni di persone nel mondo: si tratta di un chip miniaturizzato (di circa 2 mm di diametro, senza cavi né batteria), impiantato per la prima volta in 5 pazienti con degenerazione maculare senile, malattia della retina che rappresenta la prima causa di cecità nel mondo occidentale e per la quale non ci sono ancora rimedi. Grazie a un sistema di trasmissione delle immagini mediante uno speciale tipo di occhiali, i pazienti oggetto della sperimentazione, tutti non vedenti, hanno acquisito la capacità di vedere lettere molto grandi e anche una limitata capacità di lettura. L’intervento dura un’ora
“Il sogno che gli oculisti coltivano da tempo, quello di far rivedere i non vedenti, sta divenendo realtà”, ha spiegato Andrea Cusumano, oculista, docente dell’Università di Roma Tor Vergata, del Rheinische Friedrich-Wilhelms Universität, Bonn e del Weill Cornell Medical College, New York, e presidente della Fondazione Macula & Genoma Onlus, “Ho partecipato io stesso all’intervento su una donna di 63 anni operata nel 2017. Abbiamo impiantato il microchip nella paziente legalmente non vedente che, a distanza di 10 mesi dall’impianto, è in grado di leggere lettere grandi e riconoscere numeri consecutivi”.
Il microchip, che contiene quasi 400 minuscoli sensori ottici (fotodiodi) che trasformano le immagini in segnali elettrici che vengono poi inviati al cervello, è inserito sotto la retina con un intervento mininvasivo, che dura circa un’ora. Il chip non ha cavi di collegamento ed è attivato e alimentato dagli occhiali (su cui si monta una minitelecamera) indossati dal paziente. Il microchip non ha bisogno di batteria. Lo studio clinico pilota interesserà per ora 10 pazienti.
Già in passato erano stati sviluppati prototipi di retina artificiale, ma di dimensioni più grandi e, proprio per questo, più difficili da impiantare: all’epoca, vennero testati in soggetti con malattie ereditarie della retina, come la retinite pigmentosa, con risultati non soddisfacenti. Il microchip progettato da Daniel Palanker ha il potenziale di estendere le protesi a una platea più ampia di pazienti, dato che la degenerazione maculare colpisce circa 30 milioni di persone nel mondo (in Italia ne soffre un milione di individui). La forma più diffusa è maculopatia atrofica, caratterizzata dalla degenerazione del centro della retina (macula), che porta alla perdita della visione centrale, quindi della capacità di leggere, guidare eccetera. Il microchip ha suscitato grandi speranze nella popolazione non vedente.
Attualmente secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità sono 253 milioni i disabili visivi nel mondo, di cui 217 milioni ipovedenti e 36 milioni ciechi. Per il momento, i nuovi impianti hanno costi decisamente alti (fino a 100mila euro), ma l’obiettivo, secondo il professor Andrea Cusumano è di arrivare a “impianti economici, abbassando enormemente i costi di produzione, così da poter raggiungere milioni e milioni di pazienti in tutto il mondo”.
L’articolo è stato realizzato con la consulenza del professor Andrea Cusumano, oculista, docente dell’Università di Roma Tor Vergata, del Rheinische Friedrich-Wilhelms Universität, Bonn e del Weill Cornell Medical College, New York e presidente della Fondazione Macula & Genoma Onlus