
Tumore alla prostata, in arrivo nuove cure che aumentano la prospettiva di vita
Aumenta di quasi 5 anni la speranza di vita grazie alla terapia ormonale innovativa a base di abiraterone e grazie all'uso del nuovo farmaco, l'apalutamide
Passi in avanti sono stati fatti per combattere il tumore alla prostata, un brutto male che solo nel 2018 ha fatto registrare in Italia 35.000 nuove diagnosi. Sono infatti in arrivo nuove terapie ormonali “chemio-free” che allungano la prospettiva di vita dei pazienti, anche nei casi più difficili. Lo sottolineano gli esperti in occasione del 34° Congresso dell’Associazione europea di urologia, in corso a Barcellona. Oggi anche i malati più complessi, con diagnosi contemporanea di tumore alla prostata e metastasi, non solo hanno un’alternativa alla chemioterapia, con tutti gli effetti collaterali che questa comporta, ma hanno anche guadagnato anni di vita di qualità: da 36 mesi di sopravvivenza a una speranza di poco meno di 5 anni. “Le novità sono in continua evoluzione – ha spiegato Sergio Bracarda, direttore di Oncologia Medica dell’Azienda Ospedaliera S. Maria di Terni – tanto da poter definire oggi il tumore prostatico come un’area in cui la dinamica di crescita delle conoscenze biologiche e degli approcci innovativi supera quella del tumore al seno. Ora è possibile iniziare a pensare di poter personalizzare le scelte terapeutiche in modo estremamente preciso, consentendo una prognosi migliore anche ai pazienti più complessi”.
Una delle innovazioni che ha consentito questo cambio di passo è l’arrivo in clinica della terapia ormonale con abiraterone, che ha rivoluzionato le prospettive dei pazienti con carcinoma prostatico metastatico già alla diagnosi: nel nostro Paese si tratta di circa il 10% dei casi, ma in Asia per esempio si sfiora il 60%. Fino a poco tempo fa la speranza di vita era molto bassa; oggi abiraterone, associato alla terapia ormonale di deprivazione degli androgeni, ha dimostrato di aumentare di ben 17 mesi la sopravvivenza rispetto all’uso dei soli farmaci per il blocco degli androgeni. “Questa terapia – ha aggiunto Cosimo De Nunzio, urologo dell’azienda ospedaliera Sant’Andrea di Roma – oltre a essere meglio accettata dai malati rispetto a un trattamento chemioterapico, comporta un minor carico di effetti collaterali, anche nel lungo periodo. Inoltre, l’impiego di abiraterone non preclude il ricorso ai chemioterapici nelle fasi successive della malattia: tutto questo consente perciò un nuovo paradigma di trattamento, per dare a ciascun paziente la terapia più opportuna per la condizione clinica in cui si trova”.
Ma non è tutto. Un altro nuovo farmaco, l’apalutamide, ha dimostrato di essere un grande alleato nella lotta a questo tipo di tumore e il suo utilizzo è stato recentemente approvato dall’Agenzia europea per i farmaci. La sua efficacia è stata dimostrata nel 2018 grazie allo studio SPARTAN pubblicato sulla rivista specializzata New England Journal of Medicine. Dai risultati della ricerca è emerso che, associando il farmaco alla terapia ormonale classica, è possibile ridurre del 72% la mortalità e nei pazienti ad alto rischio il trattamento consente di ritardare di oltre due anni la comparsa delle metastasi. “La possibilità di avere terapie differenti a seconda della fase della malattia permette al curante di modulare il trattamento e al paziente di godere dei benefici di più opzioni terapeutiche – ha concluso Walter Artibani, urologo e segretario della Società Italiana di Urologia -. Così, grazie alla ricerca, la cronicizzazione della neoplasia prostatica in progressione sta diventando un obiettivo sempre più vicino e solido”.